Cos'è una terapia e quando se ne ha bisogno?
Una terapia è un percorso di cura, più o meno lungo, più o meno complesso, che permette al paziente di porsi in modo differente nei confronti dei problemi di cui si lamenta e di trovare una soluzione al disagio che questi gli procurano.
La terapia permette dunque di meglio capire il perché di una sofferenza incontrata in un certo frangente della vita consentendo di dare significato a un problema che restava enigmatico per il soggetto.
Quali differenze tra una presa in carico psicologica e una psicoterapeutica?
In generale lo psicologo clinico si occupa di percorsi nei quali il paziente ha bisogno di un supporto, di una persona con la quale affrontare una esperienza di introspezione che non vada per forza a modificare la struttura soggettiva del paziente. Il percorso psicoterapeutico invece è un percorso più complesso, più profondo, nel quale si ha la possibilità e il tempo per affrontare problematiche strutturali del soggetto e modificare il suo "schema di vita" dal di dentro rispondendo alle questioni fondamentali che riguardano la sua personalità.
Quanto dura una terapia?
Impossibile rispondere! Conosco persone che si sono accontentate della prima seduta e conosco persone che hanno fatto un percorso di oltre trent'anni... e ancora proseguono.
Ciò che è certo, è che un percorso analitico, direzionato nel modo corretto, permette al soggetto una presa di coscienza sul proprio modo di rappresentarsi, a se stesso e agli altri, consentendo una modifica soggettiva e la risoluzione di problematiche altrimenti impossibili da sciogliere.
Dopodiché sta ad ognuno accontentarsi del lavoro che è stato fatto e dei cambiamenti che ha prodotto.
Quanto costa una seduta?
Come ogni aspetto della seduta analitica anche il costo è soggettivo, incentrato dunque sulle possibilità del paziente. Ritengo infatti che il lavoro dell'analisi, l'impegno che questa comporta per l'analista e per il paziente, non sia slegato da un'etica della parola e dell'ascolto.
Il prezzo della seduta deve dunque essere commisurato alle possibilità economiche di ognuno nel rispetto del diritto di essere ascoltato.
La psicoanalisi tra sintomo, identificazione, domanda e desiderio
Jacques Lacan, in Psicoanalisi e medicina, si domanda: “il medico è nella funzione di fisiologo, ma va incontro anche ad altri appelli: il mondo scientifico riversa nelle sue mani un numero infinito di ciò che esso può produrre come nuovi agenti terapeutici, chimici o biologici, che mette a disposizione del pubblico, e domanda al medico, come un rappresentante, di metterli alla prova.
Dove è il limite entro cui il medico deve agire, a che cosa deve rispondere?
Egli deve rispondere a qualcosa che si chiama la domanda”.
Lacan continua: “Quando il malato è inviato presso un medico o quando ci va direttamente, non dite che egli si aspetta puramente e semplicemente la guarigione. Egli mette il medico alla prova per farlo uscire dalla sua condizione di malato, cosa che è molto differente, perché questo può implicare che egli possa essere completamente attaccato all’idea di conservarla. Talvolta viene proprio per domandarci di legittimarlo come malato. In altri casi viene, nel modo più evidente, a domandarci di preservarlo nella sua malattia, di curarlo nel modo a lui più conveniente, quello che gli permetterà di continuare ad essere ben collocato nella sua malattia”.
Bisogna cogliere quella che Lacan definisce: “la faglia tra la domanda e il desiderio”.
Citando sempre Lacan: “Ciò che indico parlando della posizione che può occupare lo psicoanalista, è che attualmente è la sola da dove un medico possa mantenere l’originalità di sempre della sua posizione, cioè di chi deve rispondere ad una domanda di sapere, benché non lo possa fare che conducendo il soggetto a voltarsi dal lato opposto alle idee che esprime per presentare questa domanda”.
Insomma bisogna comprendere che, quello che il paziente chiede, può essere diametralmente opposto a ciò che desidera, basta saperlo cogliere.
Freud afferma in Al di là del principio di piacere che: “probabilmente le carenze della nostra esposizione scomparirebbero se fossimo già nella condizione di sostituire i termini psicologici con quelli della fisiologia e della chimica” e molti hanno ritenuto che, su questa base, si potesse affermare che solo la Scienza possa dare la spiegazione a tutto, tralasciando ciò che la psicoanalisi e Freud hanno affermato: “In psicoanalisi le cose sono solite essere un po' più complicate di quel che vorremmo. Se fossero così semplici, non ci sarebbe forse stato bisogno della psicoanalisi per portarle alla luce”.
Insomma quello che diceva Freud in Introduzione alla psicoanalisi è, purtroppo, ancora valido: “Siete stati addestrati a dare un fondamento anatomico alle funzioni dell'organismo e ai suoi disturbi, a spiegarli chimicamente e fisicamente e a concepirli biologicamente, mentre neanche un briciolo del vostro interesse è stato indirizzato verso la vita psichica, nella quale pure culminano le prestazioni di questo organismo meravigliosamente complesso. Perciò vi è rimasto estraneo il modo di pensare psicologico in generale, essendovi voi abituati a considerarlo con diffidenza, a contestargli il carattere di scientificità e a lasciarlo ai profani, ai poeti, ai filosofi della natura e ai mistici. Questa limitazione costituisce certamente un danno per la vostra attività medica, dal momento che il malato, come sempre avviene nei rapporti umani, vi mostrerà dapprima la sua facciata psicologica, e io temo che sarete costretti, per castigo, a lasciare una parte dell'influsso terapeutico al quale aspirate ai medici dilettanti, ai guaritori empirici e ai mistici, tutta gente che voi disprezzate”.
Il nevrotico si definisce tale, come se fosse un marchio a vita, preme non perché la malattia scompaia, ma perché venga riconosciuta come causa di invalidità permanente, un’etichetta permanente!
E’ evidente, allora, che “il sinthomo si pensa, si articola non a partire da la verità, ma a partire dal godimento, come un modo-di-godere” si gode del proprio sintomo, si gode dell’essere nevrotico fino ad identificarsi con il sintomo, passando dal sintomo al sinthomo, cioè quello che Lacan afferma essere l’identificazione del soggetto con il proprio sintomo!
In psicoanalisi il soggetto si presenta come individuo, come uno. In psicoanalisi non abbiamo dunque a che fare con l’universale della medicina, dove tutto deve essere incasellato, classificato. Per il metodo psicoanalitico il soggetto si presenta come corpo individuale, il “corpo Vivente” ma “la vita non si riduce al corpo, alla sua mera unità evidente. C’è un’evidenza del corpo individuale, del corpo in quanto Uno, ed è un’evidenza di ordine immaginaria” come afferma Jacques-Alain Miller in Le lezioni sul sinthomo.
Nella sua critica a Cartesio Lacan afferma che, nella scienza, si giunge a una visione del soggetto come macchina.
In Biologia Lacaniana, Miller parla della ripetizione come fattore di inadattabilità. Egli considera Al di là del principio di piacere di Freud come la base da cui partire per l’elaborazione di questo concetto: “Consiste: in primo luogo, a imputare la compulsione alla ripetizione, afferrata ciclicamente, al corpo vivente, all’organismo vivente come tale, vale a dire alla sostanza vivente; in secondo luogo, a concepire questa ripetizione come la tendenza a ristabilire uno stato anteriore; in terzo luogo, consiste nell’identificare questo stato anteriore con la morte concepita come non vita, vale a dire come morte biologica nella misura in cui il non vivente era lì prima del vivente”. Ma Lacan va oltre: “Da un lato, Lacan ammette la ripetizione come fenomeno clinico, ma dall’altro lato egli dà un altro senso alla connessione tra la ripetizione e la morte. Laddove Freud, nella sua estrema speculazione, ci tiene a vedere un fenomeno vitale originario nella ripetizione, Lacan non ne fa un fenomeno vitale - la ripetizione lacaniana non concerne il comportamento dell’organismo vivente - bensì un fenomeno anti-vitale, nella misura in cui di fronte alla speculazione freudiana, la ripetizione nella specie umana si oppone all’adattamento” ed è proprio ciò che accade nell’emicranico in cui egli, con la ripetizione del sintomo, si oppone ad ogni possibile adattamento alle mutate condizioni di vita. “La ripetizione è fondamentalmente, per la specie umana, un fattore di non-adattamento, perché la ripetizione, quale emerge dalla clinica, appare condizionante di un comportamento non adattato nei confronti delle esigenze della vita, del benessere del corpo...”.
Lacan afferma che “C’è incontestabilmente godimento a livello in cui inizia ad apparire il dolore, e noi sappiamo che è solamente a livello del dolore che può sperimentarsi tutta una dimensione dell’organismo che altrimenti resta velata”.
Si apre allora la possibilità alla cosiddetta psicoanalisi applicata, che non è una semplice tecnica terapeutica: il medico adotta lo strumento della psicoanalisi lasciando uno spazio all’inconscio del paziente e ne fa un caso “singolare” valorizzando la specificità del sintomo in relazione all’identificazione, al godimento, alla domanda e al desiderio del soggetto.
La psicoanalisi è così un modo di mettere in rapporto il sintomo con quel godimento impossibile da sopportare, tanto da condurre il paziente verso una possibile lucida comprensione di questo impossibile a dire.
L’essere dell’analista è proprio questo: "farsi strumento del dire del paziente, e niente più. E la nostra arte è di saperci prestare a questo, senza troppe idee di grandezza. Noi siamo umili strumenti” come dice Jacques Alain Miller.
Psicologo Clinico, Psicoterapeuta e Psicoanalista, Dottore di ricerca in psicoanalisi a indirizzo lacaniano presso l'Università di Parigi Vincennes-Saint-Denis, Professore a contratto all'Università di Bergamo, Docente incaricato presso scuola di specializzazione in psicoterapia psicoanalitica, Istituto Freudiano di Milano, Dirigente Psicologo presso Servizio Tutela Minori Asst-Bergamo-Est.
La mia formazione inizia attraverso studi filosofici, con una testi di laurea presso l'Università Cà Foscari di Venezia seguita dal Professor Umberto Galimberti riguardante la filosofia contemporanea francese in relazione alla prospettiva psicoanalitica di Jacques Lacan.
Dopo la seconda laurea in Psicologia presso l'Università di Padova, inizio a Parigi il mio percorso di psicoanalisi.
Entrato nell'equipe clinica dell'Istituto Ospedaliero di Psicoanalisi di Sainte-Anne di Parigi, sotto la supervisione della Dr.ssa Françoise Gorog e Prof.ssa Colette Soler, conseguo un Master di ricerca in psicoanalisi e, sette anni più tardi, il dottorato di ricerca in psicoanalisi presso l'Università Paris8 Vincennes-Saint-Denis con una tesi sulle forme depressive e melanconiche vissute dal soggetto femminile sotto la supervisione della Prof.ssa Clotilde Leguil. Specializzato in psicoterapia a orientamento psicoanalitico lacaniano presso l'Istituto Freudiano di Milano lavoro nel mio studio privato sito in Piazzale Carlo Maciachini 1, Milano.